Perfetta sotto [quasi] ogni punto di vista. La supercalifragilistichespiralidosa recensione di Mary Poppins Returns

Regia: Rob Marshall

Sceneggiatura: David Magee

Produzione: Walt Disney

Nell’ottobre del 1965 mia nonna accompagnò sua figlia di sei anni a vedere un musical che avrebbe incantato intere generazioni. Cinquantatré anni dopo quella bambina ha accompagnato i suoi figli, me medesimo e mia sorella, con morosi annessi, a rivivere la stessa, emozionante, avventura.

Mary Poppins Returns non è bello come il primo. Bruciamo così da subito una delle prime cose che vi diranno le persone appena uscite di sala. Ma la storia è bella, aggiungeranno altri a mente lucida, ed è questa una verità sulla quale ci soffermeremo a breve a supporto della nostro commento al film.

Sarebbe più corretto valutare come Mary Poppins Returns non sia paragonabile al primo, nel senso che quello del 1965 e quello del 2018 sono per ovvi motivi due film impossibili da paragonare l’uno con l’altro se ci si sofferma alla novità e alle emozioni suscitate da quello diretto da Robert Stevenson e interpretato da Julie Andrews e Dick Van Dycke più di mezzo secolo orsono.

Del nuovo film sulla famiglia Banks, perché sempre della famiglia Banks si parla e questo è un primo punto a favore, si apprezzano il coraggio di scegliere un sequel a un più scontato reboot, il piglio maturo e complesso nel definire la nuova missione della magica tata al più sicuro rimpasto delle lezioni impartite nel primo film, e soprattutto l’impegno richiesto dagli adattamenti, ma quasi mai rispettato, di somministrare a eque dosi novità e riconoscimento.

Così Mary Poppins Returns richiama il suo predecessore su più livelli (quello della storia, delle musiche e perfino nell’ordine delle gag) e allo stesso tempo propone nuovi spunti e suggestioni volte a espandere l’universo narrativo basato sulla serie di libri per ragazzi di Pamela Lyndon Travers, un universo che non ha mai smesso di riecheggiare nei decenni colorando le infanzie di bimbi e genitori di tutte le età e di tutte le epoche, comprese quelle di crisi economica e sociale.

E di figli, di genitori e di crisi parla quest’ultimo, intelligente capitolo di Mary Poppins. I figli sono quelli di Michael Banks e il genitore è Michael stesso, padre di tre figli rimasti senza madre, cassiere presso la banca di cui il defunto Signor Banks era divenuto socio, nonché aspirante artista colpito dalla Grande Depressione del ‘29. La crisi non è quindi solo quella economica, bensì quella familiare cui Michael e la sorella Jane dovranno sopravvivere per mantenere la casa della loro infanzia. L’arrivo di Mary Poppins, propizio come sempre e in sella all’aquilone che Michael ha appena cestinato, giunge quindi con uno scopo ambivalente e completamente diverso da quello del passato. Da un lato, Mary Poppins deve fare i conti coi suoi bimbi ora cresciuti e reduci dalle dure prove della vita da adulti. Jane deve aprirsi al mondo, mentre Michael deve ritrovare i punti di riferimento perduti insieme alla propria amata. Deve farlo per il bene di se stesso e per quello dei suoi figli, ed è qui che troviamo la seconda missione di Mary Poppins: non tanto l’educazione dei piccoli Annabelle, Georgie e John al mondo adulto, quanto un ritorno all’infanzia che ai tre bambini è stata bruscamente negata con la prematura morte della madre. In tal senso è emblematica la scena del bagno, dove vediamo una Mary Poppins un po’ più sbottonata rispetto a come ce la ricordiamo.

Contribuiscono a emozionarci gli innumerevoli easter egg e tre cameo d’eccezione, quello di Karen Dotrice, la Jane Banks originale, quello di Dick Van Dycke, lo Spazzacamini, nei panni di Mr Dewes Jr, e nientemeno che Angela Lansbury, la quale, come fece nel 1971 con Bedknobs & Broomsticks, sostituisce Julie Andrews per regalare una piacevole sorpresa a vecchio e nuovo pubblico che, come solo i grandi titoli sanno fare, si ritrovano uniti all’insegna di un poco di zucchero e di magia.

Peccato per le canzoni decisamente poco memorabili, nonostante gli arrangiamenti musicali tratti direttamente dall’originale, così come sono poco incisivi i ruoli riservati a guest star di successo come Colin Firth e Meryl Streep, i quali certo non spiccano nella schiera di personaggi di tutto interesse che il film offre, tra cui l’acciarino Jack cresciuto a servizio del vecchio spazzacamini Bert, così come la tata Ellen e l’ammiraglio Boom, quest’ultimi rinati nei volti di Julie Walters e David Warner.

Note di merito vanno poi a Ben Whishaw ed Emily Mortimer, rispettivamente Michael e Jane Banks, ma soprattutto e Emily Blunt, promossa a pieni voti nel ruolo della magica tata in primis per l’enorme responsabilità cui si è trovata a far fronte con (inaspettato) successo.

In conclusione Mary Poppins Returns è un film che porterò nel cuore non solo per motivi biografici personali. La serie ha unito generazioni e continuerà a farlo, regalando alle famiglie e non solo il giusto di magia per non dimenticare cosa vuol dire essere bambini e a superare al tempo stesso le avversità della vita… sempre che il big bang suoni puntualmente l’ora!

Fan di Emily Blunt ne abbiamo? Visita la fanpage italiana dedicata all’attrice britannica!

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