“I think approaching any creative process with [making fandoms happy] would be a mistake that would lead to probably the exact opposite result”
Rian Johnson, in “Indiewire”, 16 dic 2019
La saga è giunta al termine, ma la storia vivrà per sempre. E la storia, si sa, la scrivono i vincitori.
Nel caso di Star Wars: Episode IX – The Rise of Skywalker ne esce come unico vincitore J.J Abrams, tornato in pompa magna dopo un esilio durato due anni e un capitolo, l’ottavo della saga, con il quale il sostituto Rian Johnson aveva vinto agli occhi della critica la scommessa della nuova trilogia.
Di fatto, The Rise of Skywalker è un film conservatore e come tale piacerà particolarmente a coloro che fino a questo momento non hanno avuto intenzione di mandare giù il groppone di questo nuovo arco narrativo.
The Rise of Skywalker it’s a trap. È l’ascesa del pubblico reazionario che come Palpatine si scopre avere tirato le fila dell’intera faccenda. Un film che riscrive in gran parte le innovazioni del precedente, annullando così l’impetuosità riformatrice e iconoclasta di The Last Jedi e abiurando quelle basi di progresso narrativo gettate da Johnson. Il risultato è inevitabilmente una trilogia scritta film per film, senza una storyline lineare premeditata. Un prodotto che mina la natura high concept di un universo complesso come quello di Star Wars, offrendo un guazzabuglio di nostalgia e precarietà di significato che il pubblico, ma anche i protagonisti della nuova trilogia, non meritavano.
“Scrivere qualcosa di creativo per accontentare i fan è un errore” afferma Rian Johnson, questo mese nelle sale con il suo nuovo film Knives Out. Assoggettare la qualità narrativa alla felicità del pubblico porta, spesso e volentieri, sempre parafrasando Johnson, al risultato opposto.
Proprio per questo mi trovo a blastare un film che ho tanto atteso e una trilogia che ho comunque amato e difeso a spada (laser) tratta fino a oggi. Io c’ero quando in pochi hanno retto la botta di The Force Awakens, sapevo che in fondo si trattava di un capitolo volto a riunire diverse generazioni di pubblico e che la vera scommessa sarebbe stata il film successivo. Pertanto gioii quando ebbi conferma che The Last Jedi poteva dirsi a tutti gli effetti un tassello aggiuntivo di una saga apparentemente piegata su se stessa, qualcosa che nessuno aveva mai detto prima e un’offerta di valori e idee coraggiose e inaspettate. Sempre per tutti questi motivi credevo seriamente nella prospettiva di The Rise of Skywalker.
Poi è arrivata la verità sulle origini di Rey, verità di cui non avevamo bisogno perché la risposta di The Last Jedi era più che sufficiente. Sono arrivate le continue finte di un film senza spina dorsale che getta in campo eventi fini a se stessi e privi di reali conseguenze sul destino dei protagonisti. Le poche lacrime vengono asciugate con una smentita nella scena seguente, le solide convinzioni smontate con risoluzioni spesso poco credibili se non del tutto sbagliate.

Un film scritto per i fan. Così Rose resta poco più che carta da parati, Luke sapeva tutto ed è stato zitto, i cavalieri di Ren ridotti a futile siparietto, risorse nemiche illimitate quanto inspiegabili, spariscono personaggi e vengono resettate intere situazioni, si torna alla semplice lotta tra Bene e Male e l’Ordine dei Jedi, tanto messo in discussione nel capitolo precedente, torna a trionfare senza margine di discussione; gli Skywalker, nonostante l’eroina della storia porti un altro cognome, ristabiliscono ancora una volta l’equilibrio nella Forza (e nella saga). Ma La storia, lo abbiamo detto, la scrivono i vincitori, e quindi poco importa se nella scena finale non c’è posto per i fantasmi di Anakin e Ben Solo, i lati della Forza rimangono nettamente distinti laddove si auspicava una gamma di grigi che avrebbero aperto le porte ad altrettante possibilità.
L’orizzonte si è fatto improvvisamente piatto, la galassia incredibilmente piccola. Un intero film poteva essere dedicato al recupero di credibilità e di energie da parte dei Ribelli, un gran finale avrebbe aperto a una Forza universale alla portata di tutti e non di un unico retaggio.
La stessa Rey si trova a fare i conti con un origine che poi decide di rinnegare in una scena finale dove, a ruoli invertiti, qualcosa si sarebbe potuto dire. Se a morire fosse stata lei e avessimo dunque visto Ben recarsi al posto suo su Tatooine per seppellire il passato, avremmo assistito all’”ascesa di uno Skywalker” ma anche al realizzarsi del sogno per un attimo condiviso dalle due controparti.
La spada laser gialla è il vero elemento che tradisce definitivamente la farsa, quello che sarebbe dovuto essere l’ennesimo colpo di scena a prova di un superamento del passato è invece un’ancora ben saldata a terra e inamovibile, uno stantio e didascalico ritorno alle origini che prevede un Lato positivo della Forza determinato da un élite conservatrice e dinastica, un po’ come il pubblico di Star Wars.

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