All’uscita di sala il mio primo pensiero a caldo è stato: adesso non ci sono più scuse. A partire dai primi minuti di visione risulta evidente come l’intera produzione di Freaks Out, con tutti i limiti narrativi che possa avere e di cui parleremo nel corso della nostra recensione, sia destinata a fare scuola.
Laddove effetti speciali ed effetti visivi, quindi make up e CGI, analogico e digitale, musiche, sceneggiatura, regia e in generale tutti i reparti che hanno preso parte all’ultima impresa di Gabriele Mainetti si incastrano alla perfezione, nasce un’opera a seguito della quale non c’è effettivamente più alcun motivo per abbassare l’asticella del genere.
La rivisitazione in chiave fantastica della storia in Freaks Out funziona, è differente da quella tarantiniana e vedremo perché, ma proprio per questo funziona. Fatica senza dubbio a discostarsi dall’immaginario e dal flavour collodiano, ma in fondo il legame con le nostre origini è fisiologico anche quando l’intento è evidentemente quello di guardare oltreoceano a Baum e Fleming.
Ambire a un allontanamento netto e forzato dalla nostra letteratura sarebbe d’altronde come chiedere all’MCU di discostarsi dalla storia del fumetto nordamericano o dalla cultura pop in generale. Tenuto conto, poi, che in Freaks Out il pop non manca affatto e anzi buca lo schermo, come bucano lo schermo tutti gli attori e attrici che costellano il cast del film.
A nomi come Claudio Santamaria e Giorgio Tirabassi, che pur hanno il loro intoccato spazio da protagonisti, vengono affiancati volti meno mainstream ma proprio per questo piacevolmente sorprendenti, a partire dalla giovane coppia Castellitto e Giovinazzo (rispettivamente Cencio e Matilde) ma anche il tedesco Franz Rogowski nei panni dell’omonimo e carismatico villain del film. Un appeal, quello di Rogowski, per l’appunto grafico, fumettistico, sulla falsa riga dello Zingaro di Marinelli nel successo precedente di Mainetti. La continuità tra Lo chiamavano Jeeg Robot, sotto questo e altri punti di vista, è evidente e per nulla tenuta nascosta.
Se ci sono limiti all’interno di Freaks Out, e a mio parere ci sono, parliamo quindi di limiti puramente narrativi. Succede, quando in Italia si decide di rappresentare un passato vicino come può essere la Seconda Guerra Mondiale, che si tenda a ridurre il tutto a una finale dei mondiali Italia-Germania, come se al bianco e al nero, laddove il bianco se vogliamo è la resistenza partigiana e il nero è il nazismo, non facesse eco una gamma di grigi che andava dall’omertà al vero e proprio collaborazionismo con il nemico, passando non di meno per il fascismo di cui, nonostante avesse già meno influenza dopo l’8 settembre, i residui ideologici sotto la cenere restavano eccome e, non a caso, permangono anche oggi. Nel film il fascismo e in generale l’italiano medio di quegli anni vengono citati un paio di volte e mostrati zero. Il cattivo, in Freaks Out, parla rigorosamente tedesco (anche se sottotitolato).

L’internazionalizzazione, del cosa ma ancor più importante del come, è certo un punto forte del film ed è forse la chiave di volta per interpretarne correttamente l’efficacia filmica e comunicativa. Il dialetto romano si alterna a intere scene in tedesco, anche l’occhio meno abituato a guardare film e serie televisive in lingua originale qui è invitato a calarsi a piene mani (a dieci o dodici dita, non importa) nel senso di estraniamento di un’Italia occupata.
Importante la differenza tra revisione fantastica della storia e riscrittura. Freaks Out, lo abbiamo detto, dona un flavour fantastico alla storia (la rappresentazione dei partigiani avrà fatto storcere più di un naso) ma non la riscrive. Qui Mainetti si discosta da Tarantino: l’arco narrativo che vede protagonista la nostra Dorothy/Matilde (con i suoi guanti rossi che non sono scarpette ma che l’analogia parla da sola) e il cattivo Franz, alle fine dei conti (possibile SPOILER ma anche no) non influenza in alcun modo l’esito della Guerra e quindi non arresta tutti i treni che i nostri eroi non sono riusciti a fermare (e non era certo loro interesse farlo).
L’effetto Freaks Out si sta tramutando in un passaparola che proprio in queste ore contribuisce a fargli recuperare terreno al botteghino. La Original Soundtrack di Michele Braga (in collaborazione con lo stesso regista) accompagna il tutto e vince a Venezia il Soundtrack Stars Award, riconoscimento meritatissimo per brani a misura di personaggi e situazioni, tra tradizione e contemporaneità, magistralmente orchestrata da Emanuele Bossi e anch’essa, come il resto del film, con uno sguardo al passato e uno slancio verso il futuro.
Sempre a Venezia Freaks Out ha vinto il Bisato d’oro per il miglior attore (Franz Rogowski), la Graffetta d’Oro, il Leoncino d’Oro, lo Special Prize e il Best Italian per il Miglior film (Gabriele Mainetti), la Pellicola d’Oro per i Migliori Effetti Speciali (Maurizio Corridori) e per l’Electrical Department (Loris Felici), il Best Young Actress per Aurora Giovinazzo, oltre alla nomination ufficiale per il Leone d’Oro e alla già citata vincita per la Miglior Colonna sonora.
Secondo IMDb Freaks Out di Gabriele Mainetti è stato prodotto a fronte di un budget stimato di 14 milioni di Euro, contro l’1,7 milioni per Lo Chiamano Jeeg Robot e i 356 milioni di dollari per Avengers: Endgame.

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