It’s All Good Man. La recensione definitiva di BETTER CALL SAUL

Questa settimana si conclude un viaggio durato quattordici anni. Un on the road su piccolo schermo dal New Messico all’Alaska (se includiamo El Camino). Migliaia di miglia e undici stagioni per un totale di 125 episodi e un lungometraggio.

Allo stato delle cose, anche se stento a crederlo, Vince Gilligan e Peter Gould firmano la parola fine in calce all’universo narrativo di Breaking Bad (BB). Un universo dove non c’è spazio per gli eroi o gli antieroi e dove non c’è spazio dunque per la parola lieto fine, ma per i grandi personaggi e i grandi finali sì.

Parliamo di Better Call Saul (BCS) e di come da sette anni a questa parte ha lavorato per abbattere la quarta parete degli spin-off.

Con BCS abbiamo imparato a conoscere Jim McGill, in arte Saul Goodman, e a conoscerlo forse più di quanto Jim McGill ha imparato a conoscere se stesso. Se a noi sono servite infatti un paio di stagioni per renderci conto di non avere a che fare con le semplici origini di un personaggio secondario sembra che al protagonista interpretato da Bob Odenkirk siano serviti sei stagioni per riuscire a guardare negli occhi il suo doppio o i suoi doppi, topos di cui la serie è ricolma, e a fare un mea culpa di tutte le scivolate collezionate nell’arco di una vita.

Sempre in quest’ultimo episodio, ma non solo in quest’ultimo episodio, ci viene anche mostrato come il tentativo di scendere a patti con i propri rimpianti sia un esercizio cui Jim si è sottoposto più volte negli anni ma che non è mai riuscito a portare a termine con successo. Ogni riflesso del protagonista allo specchio è poi un pretesto per continuare a raccontarci di personaggi si quali credevamo di sapere già ogni cosa. Con BCS siamo riusciti ad affezionarci ai nuovi arrivati ma anche a un Mike più di quanto fosse da noi richiesto, essendo all’epoca convinti che conoscere il suo epilogo e quello di Gustavo Fring in BB fosse sufficiente a rovinarci l’esperienza delle loro scelte nello spin-off.

Persino i cameo di Walter White e Jesse Pinkman, personalmente non necessari e forse “di troppo”, sono stati inseriti per aggiungere e non per oscurare. In un flashback inserito in quest’ultimo episodio Saul interroga Walter su cosa avrebbe fatto come prima cosa se, ipoteticamente, avesse avuto accesso a una macchina del tempo (eccolo, il tentativo di cui parlavamo sopra). In risposta Walter racconta l’episodio che tutti conosciamo e che ha influenzato per sempre la sua vita, nonché predisposto gli antefatti extradiegetici che hanno dato il la agli eventi di BB. Il rimpianto di Walter White esplica anche a quei pochi che ancora non lo avevano voluto accettare il suo movente e quindi il suo ruolo in BB per il quale, ancora oggi, molti lo elevano erroneamente ad eroe o antieroe. Walter White non è in realtà che un uomo piccolo e comune che ha fatto come tutti noi una scelta che gli ha cambiato la vita. Attorno a questo rimpianto non ha fatto che prendere in una corsa senza freni tutta una serie di scelte sbagliate ai danni delle persone che ama e per puro autocompiacimento di sè.

Prendete questo specchietto su Walter White e trasponetelo su Jim McGill. Non è assolutamente la stessa cosa, ma forse il rimpianto di cui parla Saul a Walter è tanto autentico e sincero quanto quello del professore di chimica. La prima scivolata di Slippin Jimmy ha segnato per sempre la strada del protagonista, una strada che, per scomodare il fratello Chuck, così come d’altronde lo hanno scomodato gli autori in questo finale, Jim ha sempre scelto di perseguire e mai di lasciare.

Sulle differenze tra il finale di BB e quello di BCS, discussione molto accesa soprattutto per gli spettatori più recidivi, è bene ricordare innanzitutto che in BCS abbiamo a che fare con un legal drama. È in primis la storia di un avvocato, o se volete di un uomo e del suo controverso rapporto con la legge, che non poteva finire certo come l’epilogo di un gangster drama quale BB dove il protagonista è un narcotrafficante, o se volete un uomo con delle ambizioni tradite dal proprio ego.

Di fatto l’avventura di Saul Goodman non poteva che concludersi di fronte a un tribunale e, di conseguenza, dietro a delle sbarre. Trovatemi un solo personaggio principale in BCS ancora vivo che non sia, in fondo, chiuso dentro a una gabbia.

Gilligan ci ha abituati alla minuzia per i dettagli, che da maniacale è divenuta, stagione dopo stagione, al limite del didascalico. Al punto che non sono certo sfuggiti a nessuno frame puramente allegorici e iconografici come quello in cui Mike parla con il padre di Nacho, l’ultima volta che vediamo Mike prima del salto temporale, in cui Mike risulta rinchiuso con i propri fantasmi in una gabbia costruita da lui stesso. Il meccanico d’altro canto è libero, così come libera e pulita è la sua coscienza in relazione alla seppur drammatica fine fatta dal figlio.

Tanto Jim quanto Kim non possono dirsi altrettanto liberi. Lo vediamo nell’occhiolino finale strizzatoci da Gilligan nel loro ultimo dialogo, mentre fumano contro il muro della saletta incontri del penitenziario. Il fascio di luce è il medesimo della prima stagione, ma l’ombra delle sbarre avvolge entrambi i personaggi.

La cura dei dettagli in BCS è diventata un gioco a cui l’intera produzione ha giocato a partire dai post che settimanalmente anticipavano un elemento, un dettaglio o un titolo che stimolasse il pubblico verso ciò che avrebbero visto il lunedì seguente (martedì per gli spettatori italiani). Il cosiddetto salto dello squalo per quanto riguarda questo aspetto della serie è stato raggiunto proprio nella sesta stagione, quando gli spettatori hanno cominciato ad accorgersi che alcuni numeri sparsi nelle scene anticipavano l’uscita di scena del personaggio coinvolto nella scena stessa. Il vero plot twist sfuggito ai più è in realtà che l’indizio sulla nona puntata della sesta stagione non indicava la (relativa) dipartita di Kim che tanti temevano, bensì l’addio al personaggio di Giancarlo Esposito, che da quel momento in poi non avremmo più rivisto.

Caccia a tesoro a parte, alcune scelte stilistiche faranno all’interno della serie continueranno a fare sicuramente scuola in quanto, se non proprio mai viste, sono state certamente utilizzate con un’accentuata attenzione alla narrazione che resta la vera protagonista di serie come BB e BCS e dei prodotti, televisivi o cinematografici che siano, che dimostrano di avere davvero qualcosa da dire e da dare.

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Una replica a “It’s All Good Man. La recensione definitiva di BETTER CALL SAUL”

  1. Un bellissimo finale per una serie stupenda, secondo me (e lo dico a bassa voce come tutte le unpopular opinions) a tratti anche migliore di Breaking Bad. Come per BB c’è tanto build-up per concludersi, poi, quasi sottotono, sommessamente, eppure non c’è nulla del finale che mi abbia deluso.
    Avevo letto da qualche parte, non so se da una fonte attendibile, che Gilligan e Gould stessero pensando a un potenziale spin-off su Kim, dicendo che se dovessero proseguire ulteriormente l’universo narrativo di BB sarebbe con lei. Da un lato capirei il loro desiderio di staccarsi da questo mondo e mettersi alla prova con qualcosa di nuovo, dall’altro Kim è stata probabilmente il mio personaggio preferito della serie e l’idea di poterla vedere ancora mi riempirebbe di gioia! Dall’altra parte ancora sarebbe di nuovo un legal drama, che forse farebbe troppo “squadra che vince non si cambia”.
    Insomma, non lo so. Quello che so è che se anche dovesse tutto concludersi qui ci hanno regalato due serie meravigliose, tra le migliori che si siano mai viste in televisione, e per questo sarò sempre loro grato.

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