“Questa non è la prima volta che tento di adattare The Midnight Club” ha affermato Mike Flanagan ai microfoni di Vanity Fair. La sua nuova serie basata sull’omonimo romanzo di Christopher Pike debutterà su Netflix il 7 ottobre, ma i primi tentativi di Flanagan di darle vita risalgono a molto prima. Un’odissea iniziata nei primi anni Novanta.
Nel 1994 Pike pubblicò la storia di un gruppo di adolescenti malati terminali e dei loro incontri notturni per scambiarsi racconti di paura. Tra loro c’è un patto: se e quando uno del club dovesse morire, dovrà tornare sotto forma di spirito per provare che c’è forma di vita dopo la morte.
Uno dei primi fan del cosiddetto Club di Mezzanotte fu proprio Flanagan, il quale, anni dopo al college, si convinse persino che un adattamento di The Midnight Club sarebbe potuto essere il suo primo film.
Scrisse una sceneggiatura e buttò giù un piano di produzione, cercando in famigliari e amici possibili investimenti per il suo piccolo progetto indipendente. Quando fu tutto pronto inviò la proposta agli editori di Pike, che in tutta risposta gli inviarono una lettera di diffida.

La questione sembrava finita lì. Mike Flanagan non ebbe la sua chance di adattare The Midnight Cub. Tuttavia, col passare degli anni, nessun altro lo fece e Flanagan non potè dimenticare.
“The Midnight Club era una storia particolarmente scioccante per un adolescente dell’epoca” spiega Flanagan. “perché inizialmente credevi di essere di fronte a un YA [Young Adult Books; libri per adolescenti] qualunque su spettri e roba simile e invece no. Ti trovavi a che fare con un gruppo di ragazzini e il loro modo di affrontare la propria malattia e di conseguenza la morte. Una vera e propria lezione su come usare il genere per parlare di cose serie. Prima ancora di passare a Stephen King io mi cibavo di questo, di John Bellairs (The House With a Clock in Its Walls, R.L Stine (Goosegumps/Piccoli brividi) e cose così. Per questo Pike mi fece rizzare i capelli”.
I testi di Christopher Pike erano notevolmente più audaci e taglienti di opere affini a essi contemporanee. Contenevano elementi ruvidi e di vivida violenza. “Leggi qualche pagina e dentro di te esclami ‘oh dio, questo è pesantuccio’. Molti dei primi confronti con i miei coetanei di allora su temi come la morte, l’amore, il sesso e l’alcool e le droghe partivano dal fatto che tutti avevamo letto i libri di Pike”.
Ne è passata di acqua sotto i ponti e Mike Flanagan si è costruito un’ottima reputazione come sceneggiatore e regista con film come Oculus del 2013, il thriller Husch del 2016 e gli adattamenti di Gerald’s Game e di Doctor Sleep rispettivamente del 2017 e del 2019. Sono però le già citate serie Netflix ad averlo portato a un ulteriore level up e a riprendere in mano l’idea di un adattamento, questa volta come serie, di The Midnight Club insieme alla sceneggiatrice e produttrice Leah Fong.

Il nuovo approccio a The Midnight Club prevede di non attingere al solo romanzo di Pike da cui la serie prende il nome, bensì anche da altri suoi libri. La serie è ambientata nell’ormai passato 1994 (..come sono vecchio!) ma alcuni spunti di riflessione che offrivano quegli anni non tramontano mai. Tra quelli proposti da The Midnight Club troviamo la mancata accettazione di se e del prossimo, la lotta per trovare l’amore e l’abissale sensazione di sentirsi persi e soli. Vi suonano familiari?
“Prendete i comuni problemi adolescenziali, aggiungete un pizzico di mortalità e otterrete un contenuto di una maturità immediata” afferma Leah Fong. “I protagonisti della serie fanno i conti con la propria fine, sulla quale hanno molto più tempo di riflettere rispetto ai coetanei che ancora non si rendono conto di doverla affrontare, prima o poi. È quello che facciamo tutti. Noi scrittori per esempio creiamo, ci sfianchiamo per lasciare un’impronta nel mondo ed è ciò che fanno questi ragazzi con i loro racconti. È quello che ci aiuta a superare ogni cosa, raccontare. Creano i loro fantasmi, qualcosa che rimane anche dopo la loro morte”.

Integrare più libri di Pike ha richiesto uno sforzo consistente agli autori della serie, ma Trevor Macy, co-produttore socio di Flanagan per la Intrepid Pictures, conferma che l’aggiunta di altri titoli era necessaria per ampliare la portata dello show. Ognuno di essi giunge su piccolo schermo come un minifilm a sé stante, che riflette lo stato emotivo del ragazzo o della ragazza di turno che lo sta raccontando.
“È come prendere il controllo degli ultimi giorni della tua vita” spiega Macy. “le opere di Pike hanno il ruolo di riflettere la gamma di reazioni ed emozioni che ciascuno dei narratori mette in gioco di fronte alla propria morte. A volte lo fai con umorismo, a volte lo fai gridando nel vuoto, altre volte con tristezza, ma continuando a raccontare”.
Tra i romanzi di Pike che troveremo contiamo Witch (1990), la storia di una ragazza con capacità mistiche che cerca di non fare avverare le sue disastrose visioni; Gimme a Kiss (1988), dove una studentessa vittima di bullismo inscena la propria morte come contorto piano di vendetta; The Wicked Heart (1993), che segue le tracce di un serial killer armato di un martello; e Road to Nowhere (1993), in cui una giovane donna dal cuore spezzato dà un passaggio a due inquietanti autostoppisti;

Tutto questo è stato chiaramente possibile solo con la benedizione di Christopher Pike. “Non sapevo che fine avesse fatto, non sapevo nulla di lui se non che avevo letto tutti i suoi libri” racconta Mike Flanagan. “due libri all’anno e poi di colpo è sparito. Mi sono sempre chiesto perché”.
Pike si è fatto odiare da Hollywood per avere rifiutato ogni proposta di adattamento. Era percepito a un certo punto come un recluso, o addirittura un autore fittizio, poi si è scoperto che esiste ed è il primo che gradirebbe che le persone non credessero a queste leggende su di lui.
Flanagan e Vanity Fair, da cui stiamo parafrasando queste interviste, lo hanno trovato su Facebook. Il tempo di inviargli un messaggio e il telefono è squillato:”Salve, sono Christopher Pike..”.
Oggi Pike ha 66 anni e vive a Santa Barbara. Scrive ancora, ma non allo stesso ritmo del passato. Il suo libro più recente è Strange Girl del 2015. Pur amando la propria privacy, Pike è tutt’altro che un solitario: risponde alle domande e poi si perde in chiacchiere su altri show televisivi e libri.
Christopher Pike è effettivamente uno pseudonimo. Il vero nome dello scrittore è Kevin McFadden, ma continua a farsi chiamare Christopher.

Pike non disdegna Hollywood come sembra, anche se è consapevole della reputazione che si è fatto agli occhi degli addetti ai lavori. Nel 1996 la NBC ha tratto un film per la tv dal suo libro Fall Into Darkness e per lui non rese giustizia all’opera originale. “Volevo che i libri fossero adattati in un modo che risultasse familiare ai miei lettori” ha affermato. “sembra forse presuntuoso, ma è così che mi sono allontanato dall’intera Hollywood”.
La NBC ha tentato nel tempo di tornare all’attacco, ma Pike ha sempre gentilmente rifiutato. “Dopo Fall Into Darkness il network ci rimase male perché non permisi l’adattamento di Chain Letter” spiega lo scrittore. Da qui è partito il mito secondo cui per Pike è e sarà sempre un NO agli adattamenti dei suoi lavori. “alcuni mi scrivevano, anche se era raro che lo facessero, dicendomi che sapevano che avevo deciso di non avere a che fare con questo e con quello, senza che io avessi ancora dato un mio reale responso”.
Continuavano però ad arrivargli lettere e messaggi dai fan cresciuti con l’inchiostro da lui versato. Un giorno come un altro il messaggio è arrivato da un fan con in mano un contratto di produzione Netflix.
Flanagan scrisse a Pike nel 2019. The Haunting of Hill House aveva da poco debuttato sulla piattaforma e Doctor Sleep era in post-produzione per il grande schermo:”Gli ho mandato un messaggio in cui dicevo semplicemente ‘sono un tuo grande fan. Non so se avrei mai intrapreso la carriera che ho intrapreso e se mi fossi innamorato del genere in così tenera età, se non fosse stato per il tuo lavoro. Sto realizzando serie televisive per Netflix e penso che un adattamento per giovani adulti faccia proprio al caso loro’. Mi chiamò, ma era scettico”.
Pike ricorda di avere fatto il prezioso. “Non ho reagito nell’immediato” spiega.”‘Oh, grazie per le gentili parole, sono contento che il libro ti sia piaciuto’. Poi la mia compagna mi ha detto ‘sei pazzo?’”. Si da il caso che entrambi fossero nel mezzo di un binge watching di The Haunting of Hill House.”

Al primo scambio ne sono seguiti numerosi altri e presto l’idea divenne progetto. Con sorpresa Pike fu del tutto favorevole all’integrazione di altri suoi libri nei racconti dei protagonisti.
Il personaggio principale della serie, Ilonka (Iman Benson), è basato su una persona reale che Pike ha conosciuto negli anni Novanta. Era una sua lettrice e quando si ammalò i genitori chiesero che lo scrittore potesse incontrarla come ultimo desiderio della ragazza. Pike viveva nella costa opposta, ma i due si scrissero e si telefonarono. In uno di questi scambi lei confessò di riunirsi la sera con altri coetanei malati terminali per discutere delle sue opere.
Come tributo a lei e ai suoi amici Pike creò The Midnight Club. Lo scrittore si offrì di condividere i capitoli in corso d’opera con la sua più grande appassionata, ma lei disse ogni volta di voler aspettare di leggere il libro per intero una volta mandato alle stampe. Purtroppo, racconta Pike, non fece in tempo.

Mike Flanagan sa qual’è stata la parte più delicata dell’adattamento di cui si è preso carico. La serie parla di paura e tragedia, ma non puoi tenere toni troppo struggenti e nemmeno scadere nel frivolo. “C’erano momenti in cui ci siamo assicurati di essere il più sensibili possibile” spiega. “molti tra membri della writers room ma anche tra gli attori del cast a un certo punto esordivano con qualche consiglio sulle battute e su come trasmetterle al meglio”.
In The Midnight Club c’è anche spazio per una storia d’amore, resa urgente dal fatto che i suoi protagonisti non non sanno quanto tempo corrisponda il loro ‘per sempre’.
Heather Langenkamp, leggendaria final girl di A Nightmare on Elm Street, interpreta la dottoressa Georgina Stanton, fondatrice del Brightcliffe Hospice e responsabile della struttura. “L’edificio stesso ha una storia da raccontare” rivela Mike Flanagan.”c’è il passaparola tra i ragazzi che vi risiedono che ci sia un’ombra che si aggira per i corridoi. Potrebbe trattarsi della Morte stessa e secondo alcuni si avvicina sempre all’interessato quando sta giungendo la sua ora”.

Tra un incontro notturno dei protagonisti e un altro accadono cose strane nella struttura. “Il fatto è che ti ritrovi a non sapere a cosa credere, soprattutto considerando i farmaci che i ragazzi sono costretti ad assumere, alcuni dei quali fortemente allucinogeni. Infine c’è il mistero di una paziente del passato che sostiene che qualcosa all’interno dell’edificio l’abbia curata. Un mistero che, inutile dirlo, anima i protagonisti”.
La fede universalmente concepita riveste un ruolo chiave nello show. “Il motore della prima stagione gira intorno al fatto che i ragazzi vogliono una prova le loro vite non siano realmente destinate a finire. Credono che i legami che hanno creato siano sufficientemente forti da permettere a uno qualsiasi di loro di tornare dall’al di là per riferire agli altri che non hanno nulla da temere e che c’è qualcosa dall’altra parte”
Save the date: 7 ottobre su Netflix.
Fonte: Vanity Fair
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